Museo Archeologico Prenestino

Breve storia

Il rinnovato Museo Archeologico Nazionale è stato inaugurato il 14 marzo 1998 dal Ministro per la Cultura, Walter Veltroni. Già nel 1913 il principe Don Luigi Barberini aveva allestito privatamente, in alcune sale del palazzo, una raccolta di reperti rinvenuti negli scavi ottocenteschi effettuati nelle loro tenute prenestine. I pezzi di quella collezione, integrati da altri provenienti dal Museo Etrusco di Villa Giulia (a cui sempre i Barberini li avevano venduti nel 1908) e dai ritrovamenti verificatisi nei restauri del santuario e della città bassa a seguito dei bombardamenti subiti dalla città durante la seconda guerra mondiale, costituirono il primitivo museo inaugurato nel 1956.
A distanza di più di quaranta anni, e dopo ulteriori ritrovamenti nel territorio, come per esempio nella parte bassa della città il santuario di Ercole ricchissimo di terrecotte votive e la donazione della "collezione Pietro Giuseppe Tomassi", si era reso necessario un riordino basato su criteri sistematici, tenendo conto anche degli elementi cronologici e di provenienza dei reperti.

I supporti didattici sono stati contenuti all'essenziale, per rispettare il pregio monumentale degli ambienti storici del palazzo Colonna-Barberini in cui il museo èospitato, e per valorizzare le opere esposte lasciandone intatta la suggestione.

Il progetto scientifico del rior dino è stato curato dalla Soprintendente Archeologica del Lazio, Anna Maria Reggiani, e dalla direttrice del museo, Sandra Gatti, che si sono avvalse per l'allestimento di Maurizio Brufatto, Roberto Pinci, Pietro Vigilante, Benedetta Adembri, Nadia Agnoli, Annamaria Manfredonia, Bruno Pollastrini, Domenico Alfonsetti, Vincenzo Chiappini e Angelo Cesini. Dopo aver acquistato il biglietto nella biglietteria posta su via Barberini, in un locale adiacente il palazzo, si accede al Museo dalla scalinata della cavea del teatro: i gradini dell'emiciclo non sono più quelli di età romana, distrutti nel XIV secolo, ma risalgono, come anche il pozzo antistante, alla riedificazione del palazzo completata da Francesco Colonna nel 1493. Il percorso del museo si svolge su sedici sale disposte su tre piani.

Primo piano

Sala I - Il culto della Fortuna. 


 Il culto di Fortuna in origine era legato alla fecondità, ma Fortuna già in tempi molto antichi si presentava come una divinità vaticinante. Nella sala si può ammirare una colossale statua in marmo bigio, in cui in passato si è voluto riconoscere l'immagine della dea. La statua, considerata un originale tardo-ellenistico e datata alla fine del Il sec. a.C., secondo le più recenti interpretazioni costituirebbe una raffigurazione di Iside. È priva delle parti nude, eseguite probabilmente a parte in marmo bianco e poi applicate, come dimostra l'incavo visibile sulla spalla sinistra per l'inserimento del braccio. La figura veste un chitone cinto in vita, che aderisce alle forme del corpo come schiacciato dal vento, e un himation entrambi sono increspati da pieghe fitte e sottili. Vi è poi un gruppo scultoreo con due figure femminili acefale poste su una portantina (fercula). In esse si riconosce il duplice aspetto del culto che, come le Fortune di Anzio, ebbe una doppia immagine: matronale quella d~ destra, con la corporatura più robusta e il chitone altocinto; giovane amazzone quella di sinistra, con il chitone che lascia libera la spalla destra ed il seno scoperto. Una testa femminile, di proporzioni maggiori del vero, rinvenuta nel riempimento del pozzo da cui si estraevano le sorti, sulla terrazza degli "emicicli", apparteneva probabilmente alla statua di Fortuna seduta, con Giove e Giunone fanciulli, posta a fianco di esso. Infine una statua che raffigura la dea Statua Femminile acefala.

Sala II - Statuaria ellenistica. 


Un'intensa attività artistica di impronta ellenistica investì Praeneste negli ultimi decenni del Il sec. a.C. Ciò fu dovuto all'attività dei numerosi mercanti che avevano accumulato ingenti fortune esercitando il commercio, soprattutto di schiavi, con i mercati orientali. A Delo, infatti, vi sono numerose testimonianze epigrafiche della presenza di negotiàtores prenestini. Le ingenti risorse economiche garantite da questi commerci furono indispensabili per la ristrutturazione urbanistica della città e la costruzione del santuario secondo le forme architettoniche ancor oggi visibili. Molti artisti greci furono così spinti a stabilirsi nel Lazio e ad eseguire in loco le loro opere. Tre statue femminili acefale, in marmo greco, rappresentano probabilmente ricche matrone prenestine; vestono un leggero chitone increspato sul quale è indossato un pesante mantello che ricade lungo il corpo con lunghe estremità a punta. Un altro originale ellenistico è la pregevole statuetta femminile in marmo greco; anch'essa acefala, veste il chitone e l'himation che formano un ricco panneggio, movimentato da morbide pieghe che assecondano le forme del corpo. La testa femminile velata richiama i modelli classici; l'ovale armonioso del volto con i tratti poco marcati, il morbido chiaroscuro che anima l'espressione del viso, la pettinatura con i capelli in ciocche ordinate sulla fronte, sono tutti elementi che si rifanno alla statuaria ideale ellenistica. La figura femminile seduta, di dimensioni minori del vero, è una copia rielaborata di una delle nove muse di Filisco di Rodi (Il sec. a.C.).

 Sala III - Statuaria iconica 

La ritrattistica individuale repubblicana, basata sulla raffigurazione veristica della persona, presenta un torte richiamo agli esemplari del mondo greco. lì rapporto con la tradizione artistica greca è evidenziato in alcune teste prenestine. Una delle teste raffigura un uomo maturo, dall'aspetto fiero, con pochi capelli appena incisi, zigomi che spiccano sulle guance scavate; questi tratti, uniti alla pesante arcata sopraccigliare e alle rughe ai lati degli occhi, gli conferiscono un aspetto austero ed energico. Una statua acefala raffigura un personaggio togato stante sulla gamba destra e con la sinistra leggermente flessa. La mano destra trattiene la toga che scende fino al ginocchio, mentre la sinistra sollevata probabilmente reggeva il rotulus, tipico attributo di queste statue. Una statua raffigurante un vigoroso corpo maschile appartiene alla serie delle statue in nudità eroica, cioè quelle che avevano la testa del personaggio ritratto, di solito il committente, inserita su un corpo ideale: un dio o un eroe. È databile alla prima età imperiale. Di età antonina è un'altra statua raffigurante un uomo nudo, coperto solo da un mantello che, fermato sulla spalla sinistra con una bulla, cade lungo il fianco. Molto bella è la statua loricata; la corazza è riccamente ornata da un gorgoneion, grifi in posizione araldica, racemi, fiori e volute vegetali; sulla spalla sinistra è poggiato il mantello che i militari portavano sulla corazza; è del I sec. d.C. Anche le statue femminili si ispirano a modelli ideali. È forse una divinità in trono la figura femminile seduta, con tunica e mantello ripiegato sul grembo e databile alla prima età imperiale. Un gruppo di basi ricorda eminenti cittadini di Praeneste onorati con la dedica di una statua: A.Muniùs Evaristus, patrono della città, P Aelius Apollinaris Aplenìus, che ebbe una statua togata nel Foro, M Aurelius Iuliùs Eupraepes, membro dell'ordine equestre, Publicia Similis sacerdotessa della Mater Matula, D. Velius Trophimus, e Cn. Voesìus Aper i quali promossero dei giochi gladiatori, e T Caesiùs Primùs

 Sala IV - La Triade Capitolina

 Il gruppo scultoreo in cui sono raffigurate le più importanti divinità dello stato romano, Giove, Giunone e Minerva, fu recuperato rocambolescamente nel 1994 dai Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Artistico. L'opera, trafugata da scava-tori clandestini in una località del territorio di Guidonia, stava per essere venduta ad un collezionista americano per cinquanta miliardi, ma fu abbandonata dai trafficanti ormai braccati dai Carabinieri vicino al confine svizzero. Si tratta dell'unica copia finora conosciuta della Triade Capitolina in cui gli dèi sono conservati nella quasi totale interezza. La scultura, in marmo lunense, raffigura le tre divinità sedute su un unico sedile con i loro soliti attributi: al centro Giove con lo scettro (mancante) nella mano sinistra e il fascio di fulmini nella destra; alla sua sinistra Giunone che regge patera e scettro; a destra Minerva che teneva l'asta e l'elmo nelle mani. Tre piccole vittorie alate e acefale incoronavano le divinità. Ai loro piedi sono raffigurati gli animali sacri, rispettivamente l'aquila, il pavone e la civetta.

Sala V - Età augustea

Il passaggio dalla Repubblica all'Impero portò dei mutamenti anche in campo artistico. Le immagini dovevano propagandare i contenuti del nuovo corso: pace, sicurezza e prosperità dell'impero; i monumenti presenti in questa sala ne sono un esempio evidente. Il rilievo Grimani, attraverso l'immagine idilliaca e il riferimento alla maternità, è un esempio tipico di questo clima di prosperità. Si tratta di una lastra di marmo bianco a grana fine con una cinghialessa che allatta i suoi piccoli. Insieme ad altri due celebri rilievi conservati al Kunstliistorisches Museum di Vienna e ad un quarto frammento oggi a Budapest, la lastra faceva parte della decorazione di una fontana. I fori praticati in corrispondenza della bocca della femmina del cinghiale e del terzo cucciolo da sinistra per far uscire l'acqua confermano la funzione del rilievo. Anche i rilievi viennesi, raffiguranti una pecora e una leonessa con i loro cuccioli, rappresentano una scena di maternità. Secondo un'ipotesi dell'archeologo Filippo Coarelli la fontana faceva parte di un monumento onorario di Verrio Fiacco, che si trovava nel Foro della città e aveva inciso sopra il celebre calendario stilato dal poeta prenestino. Le cornucopie e la ghirlanda sull'altare del divo Augusto ripropongono l'idea di fecondità e abbondanza. Il culto pubblico dell'imperatore divinizzato fu praticato a lungo, per più di un secolo dopo la sua morte. Di Augusto è anche la testa colossale sulla parete della sala; il volto, leggermente rivolto a destra, raffigura l'imperatore in età giovanile. Alla Pax e alla Securitas augustea sono anche dedicati i due altari gemelli dedicati dai decurioni e dal popolo prenestino, riconoscenti per la stabilità ritrovata dopo il massacro sillano. Di stile molto raffinato è la base di candelabro marmoreo sulla quale trovano scolpiti Dioniso, una menade ed un satiro, circondati da motivi ornamentali.

 Sala VI - Età imperiale

Alcune sculture dell'età imperiale si rifanno alla tradizione ellenistica greca, come la statua del satiro in riposo, copia della celebre opera di Prassitele, scultore molto apprezzato dai Romani che riprodussero le sue opere in molte copie. Diverso da questo genere invece il rilievo raffigurante il trionfo partico di Traiano, celebrato postumo nel 117 d.C. a Selinunte in Cilicia. La scena è delimitata da un bordo formato da una fila di perle e astragali e un fregio di acanto abitato da animali in corsa. Nella processione trionfale Traiano avanza su un carro trainato da quattro cavalli, preceduto da un palafreniere, mentre un giovane gli pone sul capo una corona gemmata; sullo sfondo a destra vi sono otto littori ed un trofeo. L'opera, mancante della parte destra della scena, era posta su un monumento onorario, probabilmente una base o un altare dedicato all'imperatore dal locale collegio degli Augustali. La composizione sembra anticipare i modi dell'arte tardoantica. Intorno alla metà dell sec. d.C. si data il ritratto di un fanciullo dal volto paffuto e tondo, con la fronte prominente, il naso piccolo e la bocca socchiusa. lì busto ritratto femminile raffigura una donna dai tratti fortemente caratterizzati da una complessa acconciatura. I capelli sono articolati sulla fronte in cinque file di riccioli e sono raccolti sulla nuca in un nodo di piccole trecce, dal quale scende un boccolo; è della fine dell' inizi del Il sec. d.C., periodo in cui i ritratti femminili mostrano complesse acconciature. Della stessa epoca è una testa ritratto di fanciullo con la tipica pettinatura a calotta con i capelli lisci separati in lunghe ciocche, secondo la moda maschile di età traianea. A una statua colossale apparteneva, infine, la grande testa raffigurante Faustina maggiore, moglie di Antonino Pio. Da questa sala si accede ad una sala polifunzionale destinata a conferenze, incontri culturali, dibattiti, proiezioni di film.

 Sala VII - I documenti epigrafici

Preneste, dopo Roma, è forse la città che ha restituito il più grande numero di iscrizioni che sono importantissime per la storia della città, in quanto permettono di ricostruire gli eventi politici, la vita religiosa, le attività commerciali e la vita sociale. Tra le testimonianze più antiche è la dedica delle Aere(tinae) Matro(nae) cioè le matrone di Eretum, città sabina (prima metà del Il sec. a.C.). Il cippo di C. Magulnius Scato e C. Saufeiùs Flaccus ricorda la consacrazione di un santuario; un'altra iscrizione ricorda la costruzione di una culina (una cucina utilizzata per pubblici banchetti) da parte di due questori della gens Saufeia. Al centro della sala, su un basamento a più ripiani, sono presenti molte dediche dei collegia professionali prenestini, che documentano l'esistenza di fabbri ferrai, banchieri, tagliatori di legno o di pietra, portatori di lettiga, macellai, fabbricanti di corone, tintori, suonatori di flauto. Esse sono incise su basi dove era fissato il dono offerto alla divinità. Interessante è la dedica alla Pietas Fortuna Primigenia' posta da un certo Fortunatus, Verna, cioè schiavo nato in casa, e dalla liberta Aurelia Restituta; lo scopo era propiziare il ritorno incolume dell'imperatore Marco Aurelio e Commodo, probabilmente nella spedizione contro i Quadi e i Marcomanni. Funerarie sono le are di Telegenia Nobilis, di Marcus Bettiùs Costantius e l'altare dedicato da Aulus Curtius Crispinus Arruntianus all'amico medico Publius Aelius Pius, interessante quest'ultima per la raffigurazione degli strumenti della professione medica. Interessante anche l'iscrizione di Lucius Urvineius Philomuso che fu ritrovata nel giardino della casa natale di Giovanni Pierluigi da Palestrina.

 Sala VIII - Altri culti a Praeneste

 A Praeneste il culto principale fu naturalmente quello di Fortuna, ma non mancano le testimonianze di altri culti. Un cippo, della prima metà del Il sec. d.C., testimonia il culto di Iuno Palostcara, una divinità forse connessa con le sorti prenestine. Della stessa epoca è un altro cippo in calcare con dedica a Ercole da parte del pretore Tampio Tarentino. Una dedica a Giove Ottimo Massimo è documentata su un'ara in marmo e su una lastra in calcare. A questo dio è anche offerto da un certo Pamphilus, servo di una Valeria, un vaso in calcare. Nella vetrina al centro della sala: una testa di Atena che apparteneva ad una statua raffigurante la dea con elmo attico; una testa barbata di Serapide che raffigura il dio di origine egiziana; una statuetta di Mitra tauroctono che rappresenta la divinità secondo l'iconografia più diffusa tra il lì e il III sec. d.C., cioè Mitra in costume orientale, col ginocchio poggiato sul toro, gli conficca il pugnale nel fianco, mentre uno scorpione morde i testicoli dell'animale e un serpente striscia verso la ferita. Una statuetta raffigura Cibele secondo l'iconografia classica, cioè seduta in trono e affiancata da due leoni. Completano la sala un sarcofago con giudizio di Paride e uno attico con thiasos-dionisiaco, un altare dedicato alla Magna Matere un rilievo con scena di battaglia di età augustea.


Piano secondo 

 Sala IX - La tipologia delle sepolture 

 Questa sala, insieme alle successive X e Xl, è dedicata ai materiali provenienti dalle necropoli prenestine. La necropoli di Praeneste era costituita da più aree tutte poste all'esterno della cinta muraria. Se ne conosce una presso la via Prenestina, a ovest, una presso Porta del Sole, a est, e una in località "Colombella", a sud. Quest'ultima è la più vasta di tutte ed è quella che ha restituito oltre la maggiore quantità di materiali, anche quelli più belli e importanti. Le tombe, segnalate in superficie da cippi, erano in genere costituite da cassoni in tufo o peperino in un unico blocco, coperti da una spessa lastra e del tuffo privi di decorazione. Unica eccezione sono il coperchio di un sarcofago e un'urna di calcare esposti in questa sala. lì primo, databile alla metà del IV sec. a.C., è a tetto displuviato con i frontoni decorati da una testa di Medusa sopra grifi e pantere; sui lati lunghi corre un fregio con animali. La seconda è un'urna a forma di tempietto, deposta insieme al corredo all'interno di una cassa di peperino del solito tipo. Le tombe vanno dall'VIII al II-I secolo, e sono del periodo più antico "orientalizzante" (VIII-VII sec.) le tombe Bernardini, Barberini, Castellani e Galeassi che hanno restituito corredi principeschi, a testimonianza della vivacità dei rapporti commerciali intrattenuti da Praeneste con il resto dell'italia e con l'Oriente. I ricchi corredi funerari provenienti da queste tombe, oggi esposti per lo più al Museo Etrusco di Villa Giulia, nei Musei Vaticani e in quelli Capitolini, dimostrano una volontà di ostentazione, di sfarzo della classe dominante. Accanto ai grandi calderoni con teste di animali sull'orlo, sono state trovate coppe d'argento di manifattura fenicia, coppe emisferiche di vetro, avori, bronzi, le armi del guerriero sepolto e i resti di un carro da guerra, nonché gioielli d'oro lavorati con tecniche orientali come la granulazione. Nella sala sono esposti due sarcofagi in peperino: il primo proveniente dalla necropoli della Colombella, il secondo da quella della Selciata. Nella vetrina è esposto tutto il corredo della tomba 9 della Selciata, costituito da coppette e brocca a vernice nera, askos sovradipinto, strigile di ferro, cista di bronzo con manico costituito da una pantera, vaso di alabastro, specchio e spatola di bronzo, vaghi di pasta vitrea.

 Sala X - Cippi e segnacoli della necropoli "Colombella"

 La necropoli della Colombella ha restituito più di trecento segnacoli funerari, dispersi oggi in vari musei e collezioni tra cui il Museo Nazionale Romano, i Musei Vaticani, l'Accade-mia Americana e l'istituto Archeologico Germanico. i cippi funerari più comuni sono quella forma di pigna con foglie d'acanto che dovettero comparire alla fine d IV sec. a.C.; essi rimasero in uso fir alla fine dei lì. Si conoscono, comunque, altri cippi più antichi che prese tano una base di tipo tuscanico, c( sopra un bulbo sferico schiacciato appuntito. Più rari sono i busti funerari, qua tutti femminili che raffigurano personaggi velati, con la mano destra portata al petto, atteggiamento tipico derivato dal tipo statuario dei Pudìcitia; i busti venivano incassati una base parallelepipeda su cui veniva inciso il nome. I nomi erano anche incisi su molti cippi a pigna. i busti datano tra il III e il II sec. a.C. per I presenza di gioielli, gli stessi che vedono graffiti sulle ciste. i cippi più grandi sono alti quasi un metro e mezzo, il più piccolo 7 cm.

Sala XI - Corredi funebri provenienti dalla necropoli della Colombella

 In questa sala sono esposti alcuni corredi funebri provenienti per io più da tombe dei V secolo. È in questo secolo che sembra iniziare a Praeneste una fiorente attività di bronzisti specializzati nella realizzazione di ciste; erano, queste, contenitori per oggetti da toletta, di forma generalmente cilindrica. Gli esemplari più antichi erano in cuoio e lamina di bronzo traforato, sostituiti in seguito da quelli interamente in bronzo con lamina decorata a incisione. La forma cilindrica è quella più diffusa, molto rara quella quadrata, ovale o rettangolare. Sui corpo erano applicati anelli che permettevano di appendere l'oggetto alla parete; il manico posto al centro del coperchio ed i piedi erano piccole sculture a tutto tondo, lavorate a parte e poi saldate alla lamina della cista. Questi oggetti venivano donati alle fanciulle ai momento delle nozze, come si legge nell'iscrizione apposta sulla più famosa di tutte: la celebre Cista Ficoroni conservata ai Museo di Villa Giulia a Roma. lì corredo delle ciste era composto da pettini in osso, specchi, strigili, spilloni, vasetti per unguenti profumati, astucci con scomparti per il trucco e piccoli strumenti per la pulizia e la cura della bellezza femminile. La decorazione incisa sui coperchio e sul corpo della cista raffigurava per io più scene mitologiche o scene di vita quotidiana. Di produzione locale erano anche gli specchi dalla caratteristica forma allungata e manico fuso insieme al disco; essi avevano una faccia luci- data riflettente, e l'altra incisa anch'essa con scene per io più mito-logiche. in una vetrina è esposto un corredo proveniente dalla necropoli della Selciata; esso è composto da strigili, aes rude, scarabei in pasta vitrea, pedine da gioco, unguentari in pasta vitrea, pesi di basalto. Le altre tre vetrine sono dedicate ad oggetti provenienti dalla "Colombella"; oltre alle ciste e a ben 13 specchi sono esposte anche delle placchette di osso decorate (rivestimento di cofanetti), lucerne e un piede fittile simbolo dei viaggio nell'aldilà. Dalla necropoli di Porta S. Martino provengono le paraguance di elmo in bronzo.

Sala XII - Mostre temporanee 

 La sala è dedicata a mostre temporanee. Alle pareti sono affissi dei mosaici pavimentali: uno con tessere di cotto di età repubblicana; un altro con tessere in bianco e nero raffigurante grifi e cavalli marini, di età imperiale; due parti di pavimento scutulatum del II-I sec. a.C.

 Sala XIII - Sala XIV - Statue e teste votive fittili provenienti dal Santuario d'Ercole 

 Gli oggetti esposti in queste due sale provengono tutti dai santuario di Ercole. Era, questo, un altro luogo di culto molto importante, oltre quello già famoso di Fortuna, situato ai margini della città bassa, presso l'incrocio delle principali vie di comunicazione dei fondo valle. li ritrovamento di alcune basi di tufo che fungevano da supporto per statuette di bronzo con dedica ad Ercole, hanno permesso l'identificazione dei luogo. Esse, unite alla posizione periferica dei tempio hanno fatto ipotizzare che la funzione dei santuario fosse quella di protezione delle greggi transumanti tra il Lazio e l'Abruzzo. Un frammento di decorazione fittile dei tempio, databile ai 550 a.C., presuppone a quell'epoca l'esistenza dell'edificio. L'ingente serie di ritrovamenti di terrecotte che si sono succeduti dal Settecento agli anni Settanta di questo secolo testimoniano una intensa frequentazione dei santuario che durò dai V fino al il sec. a.C. il santuario di Ercole, nonostante le depredazioni clandestine, ci ha restituito migliaia di doni votivi in terracotta e numerosissimi frammenti interessanti anche per l'estrema varietà tipologica: dalle statue a grandezza naturale alle teste di piccolo formato, dalle statuette di offerenti, di divinità, di animali ai bambini in fasce, dai votivi raffiguranti parti e organi del corpo umano a quelli che riproducono gli oggetti più disparati, fino ai modelli in miniatura di edifici e altari. Nelle vetrine è esposta una vasta gamma di questi votivi.

 Sala XV - La decorazione architettonica 

 Gli elementi di terracotta che fin dai tempi antichi rivestivano gli edifici templari, per io più con la finalità di proteggere dalle intemperie le travi lignee dei tetti, divennero ben presto anche elementi decorativi. Questi elementi erano esposti ad una continua usura e quindi a continue sostituzioni. Le parti rovinate, però, non venivano buttate ma, essendo considerati oggetti sacri, parte cioè di un edificio sacro, venivano sepolti in fosse all'interno degli stessi santuari, come si faceva con gli ex '(010 dei fedeli. Le terrecotte, realizzate per io più a stampo, venivano applicate su vari elementi: gli architravi come lastre di rivestimento, gli spioventi frontonali (sime), le antefisse (gli elementi terminali dell'ultimo coppo spiovente) e le decorazioni dei frontone. Nei Vi sec. a.C. queste decorazioni si incontrano soprattutto nei temi della corsa dei carri, dei banchetto, dei trionfo. Le sime prenestine, databili al 500 a.C., rappresentano un unicun tipologico in quanto solo esse, tra quelle conosciute, presentano una fascia baccellata più alta dei normale e utilizzano un fregio narrativo che rappresenta simbolicamente il trionfo, l'eroizzazione del capo aristocratico. Le lastre esposte in questa sala provengono da due santuari vengono da due santuari: uno nella zona di S. Rocco all'ingresso della città l'altro nell'area di S. Lucia. Le antefisse adottano il sistema decorativo cosiddetto "campano. fregi vegetali o busti femminili inquadrati da nimbo baccellato. Quelle di, Palestrina provengono dai santuario di Ercole. Numerosi esemplari ", con presentano due personaggi a figura intera: un Eros nudo, in atto di suonare il doppio flauto, e una menade vestita di chitone che accenna un passo dl danza; per io stile sono databili ai III-II sec. a.C.

Criptoportico 

 Uscendo dai museo e ritornando su via della Cortina, da un cancello sotto la scalinata d'ingresso si entra ai criptoportico. Sei fornici danno accesso al criptoportico sui lato settentrionale della terrazza della Cortina. li corridoio, coperto con volta a botte, metteva in comunicazione le due ali dei porticato di colonne corinzie che circondava su tre lati la terrazza e di cui sono oggi rimaste solo le basi. il pavimento è ancora conservato in parte ed è costituito da tessere irregolari di calcare alternate a scaglie di pietra policrome (scutulatum). Nei XV secolo fu trasformato in cisterna con la chiusura dei fornici e la contemporanea realizzazione del pozzo che èancora oggi sulla gradinata superiore. Sull'epistilio ionico, una parte dei quale è qui esposta, un'iscrizione ricordava un intervento dei restauro sillano effettuato da due magistrati della città: C. Av(ilìus (?) ... L. Etrili (?)Ius C. f Raucus haec o(pera de) Senatus s(ententia facienda coeravere...). L'ambiente è stato recentemente restaurato e recuperato come spazio espositivo. Vi è stata collocata una serie di reperti quali elementi architettonici, iscrizioni, sculture. li primo gruppo è costituito da materiali relativi al santuario e al culto: frammenti della decorazione architettonica, tra cui pezzi di architrave con fregio dorico, alcuni capitelli ionici e corinzi, pezzi di colonne scanalate, parte di soffitto marmoreo; il già citato epistilio; una dedica dei servo Nothus a Fortuna e a Juppiter Puer posta dopo la consultazione dell'oracolo; tre lastre dedicate alla Fortuna da parte di personaggi appartenenti ad una delle famiglie più importanti della Praeneste presillana: i Saufeii. Vi sono poi esposte numerose epigrafi di età tardo repubblicana e imperiale che provengono dalle diverse necropoli della città; tra queste, una menziona un personaggio di età traianea che aveva rivestito importanti cariche pubbliche tra cui quella di curatore delle vie Flaminia e Tiburtina ed era arrivato fino ai proconsolato in Asia. In fondo ai criptoportico è esposta una serie di sculture ispirate a originali greci, la più rilevante delle quali, rinvenuta nei Foro dell'antica città, è un torso maschile, copia romana dell'Hermes che si slaccia il sandalo, celebre opera dello scultore greco Lisippo (IV sec. a.C.).

In collaborazione col Circolo Culturale Prenestino "R.Simeoni" - Informazioni tratte dalla "Guida Storico-Turistica"1998 Testi di Angelo Pinci - Foto di Guido Simeoni